lunedì 31 gennaio 2011

C'e' una verità elementare

C'e' una verità elementare, 
la cui ignoranza uccide innumerevoli idee e splendidi piani:
nel momento in cui uno si impegna a fondo,
anche la provvidenza allora si muove .
Infinite cose accadono per aiutarla,
cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute...
Qualunque cosa tu possa fare o sognare di poter
fare, cominciala.
L'audacia ha in sè genio, potere e magia.
Cominciala adesso.

W. Goethe

venerdì 28 gennaio 2011

Un Brindisi!

Un brindisi hai mei tre lettori fissi!
A Vittoria che mi segue dall'inizio dalla lontana e nebbiosa Scozia,
A Clelia che ancora non conosco,
A Lucia che si è appena aggiunta,
ed anche a Laura che mi sta presentando a tutte le persone che conosce!
Evviva!
Un brindisi a questo importante traquardo! (almeno per me!)

La scoperta e la rabbia

"Dopo l’estate, passata a grattarmi come se avessi le pulci in preda alla frenesia, arrivò il momento dei vari medici e stregoni e, a dire il vero, la differenza tra le due categorie, era talvolta difficile da cogliere. Infatti, entrambe le fazioni predicevano cose di cui non sapevano, in realtà, assolutamente nulla dando comunque
tutta la colpa a me e al mio carattere irrequieto: «Ma tu sei sempre così incazzevole?» E, soprattutto, nessuno voleva avere a che fare con me. 
Tutti profetizzavano tempi e date di guarigione straordinari e poi, con aria bonaria, esclamavano: «Non ti preoccupare Vittoria he he! Che alle donne i capelli non cadono, he he! Ne hai mai vista una calva?» Pensando, tra sé e sé di essere astutissimi a nascondere la verità ai pazienti. E io invece tra me e me pensavo: “Certo che le donne calve non esistono, portano la parrucca”. Ma non osavo dire la mia per non contraddirli e rovinare così quel loro momento mistico e quella carica di autostima che magari, alla sera, avrebbe concesso
loro di far faville con la moglie a letto e/o di pizzicare il culo con più verve alle infermiere negli anfratti dei corridoi.
Erano l’anno tra il 1986 e il 1987.
Nell’ordine, i medici mi dissero che: quella era una malattia psicosomatica e quindi me la provocavo io.
«È lei che se la provoca e quindi la può fermare quando vuole.»
Leggi: quindi è una carogna.
«Ed essendo lei che se la provoca, ci sta prendendo tutti quanti per il culo e ci sta manovrando.» Leggi: quindi è una stronza.
«E inoltre ha trovato il modo di tenerci tutti sulla corda e ricattarci emotivamente, ha capito che con questo lei ha finalmente il potere di farci preoccupare per lei. È pertanto di indole molto egocentrica, calcolatrice e insensibile visto che fa tutto ciò ai suoi poveri genitori Danni, e deliberatamente, per di più.» Leggi: quindi è una merda.
E rivolgevano uno sguardo carico di pathos e di empatia alla mia bionda, snella e fine madre scambiandola per una pulzella da confortare cavallerescamente e ignorando completamente di che fibra fosse fatta in realtà e chi si nascondesse dentro di lei.
Io osservavo sempre questi scambi senza parlare. Mi sembrava, quasi, che se fossi guarita dall’area-innominabile le avrei fatto un affronto terribile: l’avrei privata, infatti, dell’occasione di questi suoi show sgambettanti in ospedale. Lei era sempre la protagonista indiscussa delle mie visite, durante le quali poteva
giocare a fare la donna spiritosa, vezzosa e di mondo con il dottor Giuliano, un medico piacente, di mezza età, farfallone e mattacchione, a cui piacevano le donne e che non faceva altro che scherzare e fare battute durante la terapia. Oppure, interpretava la professionista affermata e perennemente in apprensione per «questi ragazzini ingestibili» con la dottoressa Franca, una dermatologa che, durante la terapia, fornendo descrizioni
dettagliatissime, sciorinava tutto il rosario delle malattie veneree che noi ragazzi potevamo beccarci con i nostri comportamenti superficiali e sconsiderati, mentre mia madre annuiva con la testa e assumeva l’aria dell’educatrice navigata.
Come conseguenza del mio supposto ricatto emotivo, si sprecavano commenti del tipo: «E non si sente minimamente in colpa!» Oppure – versione più moderata – «Vuole solo attirare la vostra attenzione e non si rende bene conto delle conseguenze di questo comportamento sulla vostra sensibilità, che
volete… è una bambina.» Leggi: quindi la ragazzina è anche manipolatrice. 
E aggiungevano un «Ehhh!» (a lungo sospirato)."

da Dannati Danni di Vittoria A. edito da Eclissi

mercoledì 26 gennaio 2011

E' la migliore parrucca da calvo che abbia mai visto!

Eccoci tornati all'inizio della storia, giù all'areoporto di Pisa. Non senza difficoltà il mio uomo che viene fuori dagli   Arrivi con l'espressione disorientata tipica di chi ha viaggiato in areo. Se a questa aggiungiamo l'arietta sbarazzina, tutto il personaggio ha un look di giovanile vulnerabilità al quale non ero preoparato. Mi aspettavo qualcosa di più di più vissuto.
"Nanty Riah? Sono Gerald Samper. Benvenuto nell'assolata Toscana. Possiamo darci del tu?"
"Okay"
"Bene". Mentre i suoi compagni di viaggio si fanno largo a gomitate per arrivare prima degli altri agli sportelli delle macchine a noleggio, abbasso la voce. "Ti ho riconosciuto subito, ma ero stato avvertito. Giuro, è la migliore parrucca da calvo che abbia mai visto. Congratulazioni".
Si è tolto gli occhiali scuri rivelando freddi occhi azzurri.
"Non è una parrucca" ha detto.
Cominciamo bene, Samper!
"Ah scusa, Mi avevano detto che saresti venuto camuffato. Parrucca e occhiali da sole, mi avevano detto".
"Infatti sono camuffato". Ha sbattuto gli occhi azzurri una sola volta, come per scattare la foto. "Non mi avevi riconosciuto vero? Hai tirato ad indovinare". Aveva una voce trionfante, da ragazzo brillante che coglie in castagna il professore.
[...]
Provo ad immaginarmelo con una serie di parrucche per vedere se lo riconosco. Niente da fare. Ho paura che, come molte persone dotate di una buona capigliatura, sono più pronto a notare le sfide follicolari. Mi chiedo cosa possa essere successo alla sua età. A meno che non sia una moda. Forse è uno di quei cloni con il cranio a biglia. O forse si trovava all'Hotel Inn di Chernobyl quando... Non sarà aids, spero! Il pensiero è inquetante. Certo, so che bisogna voler bene al paziente e non alla malattia, più facile essere contagiati intrattenendo una normale convivenza domestica non erotica. Abbiamo visto tutti le fotografie di Lady Diana in giro per i lazzaretti del globo che tocca senza paura corpi allo stadio terminale. Ma nessuno ci ha mai fatto vedere la foto dopo, quella in cui Lady D viene rapidamente accompagnata a fare i gargarismi con la varechina e tuffata in un bagno di Dettol bollente. Dovrò quindi, dopo la partenza di Nanty, fracassare tutte le stoviglie come lo zingaro quando scoprì che la figlia aveva lavato i piatti mentre aveva le mestruazioni? Fare un rogo delle mie tavolette da cesso in massello di quercia? Sto facendo ragionamenti isterici?
"Alopecia" ha detto.
"Come?".
"Ti stai chiedendo come sono diventato calvo, Tutti quelli che mi vedono così se lo chiedono. "Com'è possibile che il leader di una band famosa sia calvo?". Molto semplice. Mi sono beccato l'alopecia e sembra che non ci sia niente da fare. mi sono caduti praticamente tutti i peli tranne le sopracciglie e, se ti interessa, ciò che gli specialisti chiamano "un'esegua peluria corporea"".

Da "Cucinare con il Fernet Branca" di James Hamilton-Paterson edizioni e/o


venerdì 21 gennaio 2011

Evviva solo reale!

Evviva, cercando su google Alopecia Areata, mi sono trovata!!!
Alla quinta pagina, ma ci sono! Sono una virtuale reale!
Festeggio!
... "Si fermò a breve distanza da me, fissandomi negli occhi con una sorta di meraviglia, come se anch'egli avesse la sensazione di vivere in un sogno. <<I capelli vi cadono tutt'intorno al viso>> mormorò. <<E' traordinario. Non avrei mai potuto immaginarlo. E siete così bella alla luce della luna! Vi rendete conto di quale crimine sia, che il marito sia l'unico uomo a poter vedere una donna coi capelli sciolti? Negare al mondo tale bellezza è pura follia! E voi non avete marito, Jane...".
Citazione tratta da Jane e la disgrazia di Lady Scargrave scritto da Stephanie Barron edito da Tea

... rifacendo il verso al tenente Hearst "Vi rendete conto di quale crimine sia, che nessuno ci poter vedere con i capelli sciolti?" e che questo crimine sia stato compiuto senza chiedere il nostro parere... e non si tratta di moda, di capricci e a volte neppure di una condizione passeggera.

martedì 18 gennaio 2011

NON Siamo nate per farci pettinare i capelli


Che romantico il film Letters To Juliet. Classica storia d'amore con i bei paesaggi toscani... perchè il film inzia da Verona ma poi si svolge tra le colline del Chianti. Ad un certo un punto, una bella scena di intimità tra le due Giuliette del film, sono in camera e l'una consola l'altra pettinandole i capelli perchè "Siamo nate per farci pettinare i capelli".

Ecco qui vorrei rivendicare il nostro essere Giuliette pur non avendo capelli da spazzolare!

Un bacio a tutte le Giulette del mondo con e senza capelli!

domenica 16 gennaio 2011

Ipnosi nella cura dell'Alopecia Areata

Nel post Mai più senza capelli raccontavo di un libro la cui autrice attraveso l'iponosi cura la sua Alopecia Areata. Incuriosita sono andata a cercare altre infomazione sulla cura dell'alopecia areata tramite l'ipnosi ed eccole qui:
"Willemsen e Vanderlinden, in uno studio del 2008, hanno utilizzato metafore per curare pazienti affetti da alopecia areata. L’allopecia areata è una malattia autoimmune che provoca la perdita dei capelli e che viene collegata dagli autori allo stress.
Descriveremo ora brevemente, a titolo di esempio, un caso tratto in questo studio con lo scopo di illustrare com’è possibile intervenire sui disturbi psicosomatici attraverso l’ipnosi.
 Una donna di 32 anni, manager in una ditta farmaceutica, fu licenziata improvvisamente. questo fatto le fece sentire che non aveva più la capacità per farcela. Dopo due mesi fu colpita da una forma di allopecia areata resistente ad ogni cura medica.
Nelle prime sedute venivano utilizzate immagini metaforiche con lo scopo di facilitare il rilassamento e di aumentare il flusso sanguigno nei vasi dello scalpo. Successivamente la donna si organizzò per trovare un nuovo lavoro. Nella parte successiva della terapia furono utilizzate immagini in cui la paziente vedeva Se stessa nel futuro, affrontare in modo adeguato il colloquio di assunzione ed associando questo successo alla ricrescita dei capelli. La signora affrontò con successo il colloquio di lavoro in modo tranquillo e dopo un mese i capelli iniziarono a crescere.
12 dei 21 pazienti che partecipavano allo studio, 4 dei quali completamente calvi,  mostrarono una completa ricrescita dei capelli ed un notevole sollievo dei sintomi ansiosi e depressivi associati alla malattia."

tratto da: http://www.modellidicambiamento.it/psicosomatica/psicobiologia 

sabato 15 gennaio 2011

Dal blog di Guglierlmo Maria....
La storia di un A.A. finita bene:

"Mercoledì 27 settembre, giorno di paga, faccio la doccia mattutina cantando “La jena si è svegliata e a mezzanotte va a caccia di umoristi lungo i boulevard” quando, guardandomi allo specchio, noto uno strano chiarore sopra la fronte. Scosto i capelli e osservo meglio ma rimango un po’ perplesso. Mi vesto, con uno strano presentimento, vado al lavoro in una giornata che non passa mai, fanculo anche a lei, ed alle sei di sera mi presento dal parrucchiere di mia mamma. Mi taglia i capelli corti, more solito, ma mi fa notare alcune macchioline di pelle candida che risaltano nella boscaglia.

Alopecia Areata multilocularis.

Dopo tre mesi in testa avevo qualche ciuffo qua e là immerso nel riscaldamento globale dell’era postatomica. A Natale sembravo un leopardo dalle orecchie in su ed un coglione dalle orecchie in giù. La dermatologa non si faceva più trovare, io avevo smesso di cercarla e mia figlia mi guardava la testa scossando la sua. Un mio cuginetto, durante le feste, mi chiede se avevo i pidocchi mentre sua mamma con un calcio nel culo lo fa uscire dalla finestra, come la stella cometa coi Re Magi.

A marzo con l’arrivo della primavera l’unico pezzo di inverno rimasto era la mia valle degli orti da caduta di capelli, ero un albero senza le foglie, una notte senza stelle, una merda senza il gramadello.

A maggio ero praticamente pelato, salvo una bella incollatura nera che partendo da un orecchio arrivava all’altro ed a una croce di Sant’Andrea proprio in cima alla capoccia. Il 20 del mese partecipo alla rimpatriata delle nozze d’argento col diploma alle mie vecchie scuole superiori e i miei vecchi compagni mi guardano con l’aria che di solito si dedica ai drogati che ti chiedono l’elemosina alla stazione di Amsterdam. Nessuno commenta. Meno male.

A giugno, coi primi caldi mi rado a zero, sembrando un uovo e una mia amica perlomeno sincera mi chiede perché ho quell’aria da cattivo. Mi sento vecchio stanco sconfitto incazzato e con l’alito che puzza. Inizio ad evitare i miei simili, richiudendomi in casa, mi rispuntano la depressione ed i propositi di farla finita con il genere umano. Non mi riconosco più quando mi guardo allo specchio e quella faccia di fronte a me con quell’aria da coglione non mi appartiene proprio.

A luglio, Milano Massiccia, ombrellone, maglietta, libri, eritema e cappellino che poi mi brucio la pelata. Tra le pagine del Carlino occhieggio un gruppo di ventenni capelluti in un ombrellone vicino al mio e ho un raptus di invidia e nostalgia. Ma dove cazzo va la mia vita? Loro rispondono al mio sguardo rullandosi un cannone. Ma dove cazzo sono i carabinieri? Gioventù bruciata.

Ad agosto, laghetto e folaghe. Invece dei sassi tiro i bastoni.

A settembre smetto di farmi tosare la testa da Mrs.K. e preferisco i ciuffi.

A ottobre entro in terapia di supporto psicologico.

A novembre pian piano, qualche capello bianco prende vita e ancora più pian piano la mia testa assomiglia alla pelle di una mucca pezzata. Una bella pelle di vacca di quelle che andavano negli anni settanta. Chi non l’ha mai avuta? Festeggio il compleanno con una doppia dose di zoloft. Minchia, che culo… una botta di vita.

A gennaio, dopo le feste comandate, cambio guru e anche le medicine. I capelli ricrescono a placche, bianchi, grigi e neri. Li lascio fare, tanto non me ne frega più un cazzo.

***

Il tempo ha i suoi vantaggi, smorza le passioni, le pulsioni e le incazzature, si diventa filosofi. Gliela dò sù col pensarci, che facciano quel che vogliono, gli stronzi. Giorno dopo giorno la testa si rimodella fra discromie primarie, laghetti dolomitici, Fast City e videogiochi. Oggi se mi tocco la testa sento capelli dappertutto, anche se poi sono di colori diversi. Il parrucchiere di mia mamma ha pietà di me e non mi fa pagare dal 2007, la gente intorno a me non dà segni di stupore e mi consola come può ed io gradisco l’intenzione. Ogni tanto il mio cuginetto mi chiede se ho ancora “la malattia” intanto che sua mamma lo caccia a calci nel culo. Ma, povero cinno, che colpa ne ha lui se è l’unico sincero al mondo?

Comunque me ne son fatto una ragione e buonanotte. Sono così e così rimango, invischiato nell’improbabile al bar Metrò mangiando un sandwich del ’43, come canta Sergio Caputo. Non so se ho vinto o perso la guerra, ma sto meglio. Ovviamente si sta meglio da filosofi che da soldati, dopotutto e non mi va di passare per quei giapponesi che trent’anni dopo la guerra si nascondevano fra la jungla di pacifiche isole dove il tempo si era fermato.

Il tempo passa e tutto cambia, soprattutto noi."


Se vuoi leggere tutto il post
http://guglielmomaria.blogspot.com/2010/03/questa-e-una-storia-vera.html

Perchè proprio a me?

L'accettazione della malattia come propria inevitabile realtà richiede tempo: è il risultato di un processo di maturazione dove rabbia e depressione sfumano, anche se spesso non scompaiono del tutto. Sono momenti passeggeri che, seppur ricorrenti, non sono tuttavia il sentimento costante con cui la malattia è affrontata. Non vi è alcuna ombra di passività in questa profonda accettazione della propria condizione di malattia come dato di realtà, ma la consapevolezza che solo a partire dal riconoscimento della propria condizione è possibile vederne limiti e vincoli, ma anche opportunità.

giovedì 13 gennaio 2011

Mai Più Senza Capelli

Metodi naturali per combattere la calvizie maschile e femminile e per la ricrescita dei capelli, scritto da Vera Peiffer che da ragazza ha sofferto di Alopecia Areata.
Il libro con  allegato cd, sembra interessate.
Quasi quasi me li compro!
http://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__mai-piu-senza-capelli.php




mercoledì 12 gennaio 2011

La miss calva che sfida l'America

Kayla Martell ha una malattia ai capelli: e vuole presentarsi alle finali nazionali senza parrucca


Kayla Martell, 22 anni, reginetta del Delaware, rischia di diventare strafamosa, che la accettino o no a miss America, che le diano un premio, anche di consolazione o la lascino in coda, perché ha qualcosa che non va. E' calva. Una forma di alopecia, niente di pericoloso, un handicap però, stando ai severissimi diktat dei concorsi di bellezza. «Io sono così - dice allegra - vado in giro, vedo gli amici, mi faccio fotografare senza parrucca. Non capisco chi si sorprende».

In realtà lo capisce benissimo. I capelli sono indispensabili in una società che per valorizzarli al massimo ha inventato la graziosa tortura delle elle extension. Mentre è ormai chiaro che gli uomini con la testa rasata possono essere sexy, per le donne il «centimetro zero» è più una provocazione. Pochi nomi: la cantante Sinéad O'Connor, la mitica Skin degli Skunk Anansie, la modella Alek Wek, ma anche la trasformista Irene Pivetti e la ribelle Rosalinda Celentano.

A questo punto, le domande possono essere molto frivole: Kayla Martell sfilerà con la parrucca? Se la toglierà con un gesto teatrale, o si presenterà a cranio nudo, sfidando la giuria? Ma dalla frivolezza viene fuori un discorso serio sul corpo delle donne, sull'intreccio di regole e divieti che espongono o nascondono, altrimenti non ci sarebbero sfilate in costume da bagno e in abito da sera, ma neanche veli e fazzoletti imposti da parecchie religioni (arabi, ebrei, cristiani) per eliminare il rischio di una sensuale ciocca tentatrice. Una miss calva è, in qualche modo, una sfida.

Patrizia Mirigliani, organizzatrice di Miss Italia, dove ultimamente si è visto di tutto, la mamma, la ragazza di colore, l'handicap, e si è parlato anche di trans, assicura, senza pensarci un attimo, che prenderebbe subito una come Kayla, «perché mi sono sempre piaciute le ragazze con i capelli raccolti o con un taglio corto, fuori dallo stereotipo della donna materna, rassicurante, perché se il viso è armonioso, il fatto che non ci siano capelli è irrilevante, e poi trovo bella la grinta, il carattere. Un tipo così è interessante, è curioso, non si dimentica». E di sicuro fa notizia.

«Viviamo in un momento in cui tutto ciò che può sorprendere e colpire è comodo», ricorda Anna Kanakis, miss Italia nel '77, attrice, e oggi anche scrittrice, «La provocazione serve a dare visibilità. Inoltre noi italiani siamo buonisti: premieremmo il coraggio. Una testa calva grida “sono qui!”, fa scoprire anche l'anima, può dare speranza a chi soffre. Pensiamo ai tumori, a come una donna può vivere la perdita dei capelli per una chemio, a come si cerca di nascondere il dolore. A sé e agli altri. Il male spaventa. La miss calva forse non l'ha calcolato, ma il suo gesto rompe un tabù».

Viene subito in mente Jane Goody, la star del Grande Fratello inglese morta di cancro nel 2009, che ha vissuto davanti alle telecamere la malattia, non ha mai voluto portare la parrucca ed è stata, a lungo, tenera e bellissima. Ma c'è anche la storia, opposta, di Sophie van der Stap, la ragazza olandese che a 21 anni ha scoperto di avere un raro e aggressivo cancro al polmone. Per 54 settimane è andata avanti fra Tac, trasfusioni, radiazioni e flebo. Quando ha perso i capelli è entrata, un po' disgustata, nel negozio di parrucche dell'ospedale Amc di Amsterdam.

Ne ha comprate nove, e a ognuna ha dato un nome: Stella, Sue, Daisy, Blondie, Platina, Uma, Pam, Lydia e Bebé sono diventate le sue «altre» personalità (e poi ci ha scritto un libro, pubblicato Italia da Bompiani). Sulla carriera di Kayla si accettano scommesse. Anna Kanakis la vede come anchorwoman in un network televisivo, magari resa ancora più particolare da un brillantino in mezzo alla fronte. A parziale incoraggiamento della tendenza, possiamo segnalare l'attenzione di grandi fotografi di moda come Steven Klein e Peter Lindberg per modelle con qualche difettuccio (la strapagata Lindsay Wixon di Miu Miu, Versace e John Galliano ha una fessura tra i denti che molte sarebbero corse a correggere): forse siamo più disposti ad accettare l'idea che, tanto, nessuno è perfetto. Era ora.

Roselina Salemi edito da La stampa del 09/01

La miss calva che cattura gli Usa

Occhi chiari e lineamenti delicati. Alta, bella e grintosa. Ha 22 anni, Kayla Martell, la reginetta del Delaware, nonché concorrete per l’ambitissimo titolo di Miss America 2011. Ma veniamo ai segni particolari: calva. Poche lettere che rischiano di danneggiare tutto il resto, di annientarlo in un batter d’occhio.
“Era destino che nascessi così”, risponde miss Delaware alla stampa americana, mostrando un carattere forte e un temperamento maturo. “Questo ha fatto di me una persona speciale e mi ha aperto tante porte”. Ha le idee chiare, Kayla, e personalità da vendere: “Partecipo per i quasi cinque milioni di americani che hanno il mio stesso problema, l’alopecia areata”. Una malattia non grave, ma che non passa inosservata. Tanto più in una società che fa di cliché virtù.
Da simbolo di forza nel racconto biblico di Sansone, a segno del potere ammaliatore nel mito di Medusa. Da sempre i capelli fanno parte degli stereotipi che tracciano i canoni di bellezza a cui tutti siamo abituati. La società, però, non è totalmente anelastica: concede qualcosa, anche se è più magnanima con gli uomini. Nessuno resta stupito nel vedere un uomo senza neppure un capello, ma quando si tratta di una donna, allora proprio no. La capigliatura è seduzione, controllata e calibrata al millimetro. Il taglio scelto parla di sé, come il colore e la piega. Libertà di apparire come si vuole, ma che a volte sconfina nell’obbligo di rispettare i dettami delle mode.
Ecco che Kayla spariglia le carte: con una parrucca bionda ha conquistato il titolo del Delaware, ma annuncia di volersi presentare senza finti capelli alla sfida più importante. E’ decisa e, a chi piace, piace anche per questo. Chissà se il regolamento le imporrà di coprirsi il capo, o se sarà semplicemente eliminata dopo aver esaudito il sogno di cavalcare una passerella così importante al naturale. Di certo le esperienze che ha avuto l’hanno forgiata e preparata a battersi per quello in cui crede “A 11 anni, quando mi hanno diagnosticato l’alopecia, i miei genitori volevano iscrivermi in una scuola privata della nostra zona, ma non mi hanno accettata. Non capisco come una scuola possa essere così rigida su cose tanto insignificanti, come i capelli Più crescevo, più mi dicevo: sono solo capelli!”, scrive la reginetta sul suo blog.

Alessia Gabrielli

lunedì 10 gennaio 2011