Dal blog di Guglierlmo Maria....
La storia di un A.A. finita bene:
"Mercoledì 27 settembre, giorno di paga, faccio la doccia mattutina cantando “La jena si è svegliata e a mezzanotte va a caccia di umoristi lungo i boulevard” quando, guardandomi allo specchio, noto uno strano chiarore sopra la fronte. Scosto i capelli e osservo meglio ma rimango un po’ perplesso. Mi vesto, con uno strano presentimento, vado al lavoro in una giornata che non passa mai, fanculo anche a lei, ed alle sei di sera mi presento dal parrucchiere di mia mamma. Mi taglia i capelli corti, more solito, ma mi fa notare alcune macchioline di pelle candida che risaltano nella boscaglia.
Alopecia Areata multilocularis.
Dopo tre mesi in testa avevo qualche ciuffo qua e là immerso nel riscaldamento globale dell’era postatomica. A Natale sembravo un leopardo dalle orecchie in su ed un coglione dalle orecchie in giù. La dermatologa non si faceva più trovare, io avevo smesso di cercarla e mia figlia mi guardava la testa scossando la sua. Un mio cuginetto, durante le feste, mi chiede se avevo i pidocchi mentre sua mamma con un calcio nel culo lo fa uscire dalla finestra, come la stella cometa coi Re Magi.
A marzo con l’arrivo della primavera l’unico pezzo di inverno rimasto era la mia valle degli orti da caduta di capelli, ero un albero senza le foglie, una notte senza stelle, una merda senza il gramadello.
A maggio ero praticamente pelato, salvo una bella incollatura nera che partendo da un orecchio arrivava all’altro ed a una croce di Sant’Andrea proprio in cima alla capoccia. Il 20 del mese partecipo alla rimpatriata delle nozze d’argento col diploma alle mie vecchie scuole superiori e i miei vecchi compagni mi guardano con l’aria che di solito si dedica ai drogati che ti chiedono l’elemosina alla stazione di Amsterdam. Nessuno commenta. Meno male.
A giugno, coi primi caldi mi rado a zero, sembrando un uovo e una mia amica perlomeno sincera mi chiede perché ho quell’aria da cattivo. Mi sento vecchio stanco sconfitto incazzato e con l’alito che puzza. Inizio ad evitare i miei simili, richiudendomi in casa, mi rispuntano la depressione ed i propositi di farla finita con il genere umano. Non mi riconosco più quando mi guardo allo specchio e quella faccia di fronte a me con quell’aria da coglione non mi appartiene proprio.
A luglio, Milano Massiccia, ombrellone, maglietta, libri, eritema e cappellino che poi mi brucio la pelata. Tra le pagine del Carlino occhieggio un gruppo di ventenni capelluti in un ombrellone vicino al mio e ho un raptus di invidia e nostalgia. Ma dove cazzo va la mia vita? Loro rispondono al mio sguardo rullandosi un cannone. Ma dove cazzo sono i carabinieri? Gioventù bruciata.
Ad agosto, laghetto e folaghe. Invece dei sassi tiro i bastoni.
A settembre smetto di farmi tosare la testa da Mrs.K. e preferisco i ciuffi.
A ottobre entro in terapia di supporto psicologico.
A novembre pian piano, qualche capello bianco prende vita e ancora più pian piano la mia testa assomiglia alla pelle di una mucca pezzata. Una bella pelle di vacca di quelle che andavano negli anni settanta. Chi non l’ha mai avuta? Festeggio il compleanno con una doppia dose di zoloft. Minchia, che culo… una botta di vita.
A gennaio, dopo le feste comandate, cambio guru e anche le medicine. I capelli ricrescono a placche, bianchi, grigi e neri. Li lascio fare, tanto non me ne frega più un cazzo.
***
Il tempo ha i suoi vantaggi, smorza le passioni, le pulsioni e le incazzature, si diventa filosofi. Gliela dò sù col pensarci, che facciano quel che vogliono, gli stronzi. Giorno dopo giorno la testa si rimodella fra discromie primarie, laghetti dolomitici, Fast City e videogiochi. Oggi se mi tocco la testa sento capelli dappertutto, anche se poi sono di colori diversi. Il parrucchiere di mia mamma ha pietà di me e non mi fa pagare dal 2007, la gente intorno a me non dà segni di stupore e mi consola come può ed io gradisco l’intenzione. Ogni tanto il mio cuginetto mi chiede se ho ancora “la malattia” intanto che sua mamma lo caccia a calci nel culo. Ma, povero cinno, che colpa ne ha lui se è l’unico sincero al mondo?
Comunque me ne son fatto una ragione e buonanotte. Sono così e così rimango, invischiato nell’improbabile al bar Metrò mangiando un sandwich del ’43, come canta Sergio Caputo. Non so se ho vinto o perso la guerra, ma sto meglio. Ovviamente si sta meglio da filosofi che da soldati, dopotutto e non mi va di passare per quei giapponesi che trent’anni dopo la guerra si nascondevano fra la jungla di pacifiche isole dove il tempo si era fermato.
Il tempo passa e tutto cambia, soprattutto noi."
Se vuoi leggere tutto il post
http://guglielmomaria.blogspot.com/2010/03/questa-e-una-storia-vera.html
Nessun commento:
Posta un commento