Kayla Martell ha una malattia ai capelli: e vuole presentarsi alle finali nazionali senza parrucca
Kayla Martell, 22 anni, reginetta del Delaware, rischia di diventare strafamosa, che la accettino o no a miss America, che le diano un premio, anche di consolazione o la lascino in coda, perché ha qualcosa che non va. E' calva. Una forma di alopecia, niente di pericoloso, un handicap però, stando ai severissimi diktat dei concorsi di bellezza. «Io sono così - dice allegra - vado in giro, vedo gli amici, mi faccio fotografare senza parrucca. Non capisco chi si sorprende».
In realtà lo capisce benissimo. I capelli sono indispensabili in una società che per valorizzarli al massimo ha inventato la graziosa tortura delle elle extension. Mentre è ormai chiaro che gli uomini con la testa rasata possono essere sexy, per le donne il «centimetro zero» è più una provocazione. Pochi nomi: la cantante Sinéad O'Connor, la mitica Skin degli Skunk Anansie, la modella Alek Wek, ma anche la trasformista Irene Pivetti e la ribelle Rosalinda Celentano.
A questo punto, le domande possono essere molto frivole: Kayla Martell sfilerà con la parrucca? Se la toglierà con un gesto teatrale, o si presenterà a cranio nudo, sfidando la giuria? Ma dalla frivolezza viene fuori un discorso serio sul corpo delle donne, sull'intreccio di regole e divieti che espongono o nascondono, altrimenti non ci sarebbero sfilate in costume da bagno e in abito da sera, ma neanche veli e fazzoletti imposti da parecchie religioni (arabi, ebrei, cristiani) per eliminare il rischio di una sensuale ciocca tentatrice. Una miss calva è, in qualche modo, una sfida.
Patrizia Mirigliani, organizzatrice di Miss Italia, dove ultimamente si è visto di tutto, la mamma, la ragazza di colore, l'handicap, e si è parlato anche di trans, assicura, senza pensarci un attimo, che prenderebbe subito una come Kayla, «perché mi sono sempre piaciute le ragazze con i capelli raccolti o con un taglio corto, fuori dallo stereotipo della donna materna, rassicurante, perché se il viso è armonioso, il fatto che non ci siano capelli è irrilevante, e poi trovo bella la grinta, il carattere. Un tipo così è interessante, è curioso, non si dimentica». E di sicuro fa notizia.
«Viviamo in un momento in cui tutto ciò che può sorprendere e colpire è comodo», ricorda Anna Kanakis, miss Italia nel '77, attrice, e oggi anche scrittrice, «La provocazione serve a dare visibilità. Inoltre noi italiani siamo buonisti: premieremmo il coraggio. Una testa calva grida “sono qui!”, fa scoprire anche l'anima, può dare speranza a chi soffre. Pensiamo ai tumori, a come una donna può vivere la perdita dei capelli per una chemio, a come si cerca di nascondere il dolore. A sé e agli altri. Il male spaventa. La miss calva forse non l'ha calcolato, ma il suo gesto rompe un tabù».
Viene subito in mente Jane Goody, la star del Grande Fratello inglese morta di cancro nel 2009, che ha vissuto davanti alle telecamere la malattia, non ha mai voluto portare la parrucca ed è stata, a lungo, tenera e bellissima. Ma c'è anche la storia, opposta, di Sophie van der Stap, la ragazza olandese che a 21 anni ha scoperto di avere un raro e aggressivo cancro al polmone. Per 54 settimane è andata avanti fra Tac, trasfusioni, radiazioni e flebo. Quando ha perso i capelli è entrata, un po' disgustata, nel negozio di parrucche dell'ospedale Amc di Amsterdam.
Ne ha comprate nove, e a ognuna ha dato un nome: Stella, Sue, Daisy, Blondie, Platina, Uma, Pam, Lydia e Bebé sono diventate le sue «altre» personalità (e poi ci ha scritto un libro, pubblicato Italia da Bompiani). Sulla carriera di Kayla si accettano scommesse. Anna Kanakis la vede come anchorwoman in un network televisivo, magari resa ancora più particolare da un brillantino in mezzo alla fronte. A parziale incoraggiamento della tendenza, possiamo segnalare l'attenzione di grandi fotografi di moda come Steven Klein e Peter Lindberg per modelle con qualche difettuccio (la strapagata Lindsay Wixon di Miu Miu, Versace e John Galliano ha una fessura tra i denti che molte sarebbero corse a correggere): forse siamo più disposti ad accettare l'idea che, tanto, nessuno è perfetto. Era ora.
Roselina Salemi edito da La stampa del 09/01
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